
Per chi non lo conoscesse Garessio è un piccolo paese arroccato tra le verdi montagne piene piene di castagne e acqua cristallina.
C’è chi va a cavallo con il cappello da cowboy per il paese, il Palio delle Borgate che riempie il calendario delle iniziative estive e c’è un fiume, il Tanaro, che a volte si arrabbia proprio tanto.
La suddivisione del paese prevede l’adozione di nomi comprensibili, come Borgo Antico, alternati ad altri più buffi: Poggiolo e Valsorda hanno sempre fatto ridere Giovanni e i suoi amici Marco, Paolo e Annalisa. Valdinferno, invece, li spaventava, per il nome ma anche per la salita che si doveva fare per arrivare a visitare il rifugio in quota.
Loro erano compagni di classe, si conoscevano da che avevano ricordi. Le mamme li portavano sempre nei giardinetti del paese al pomeriggio e lì si sedevano sull’erba a fantasticare, a organizzare giochi con le macchinine, il più delle volte, o con le bambole, per far contenta Annalisa ogni tanto.
I luoghi del paese ritornavano, mentre crescevano, sempre più spesso nelle loro chiacchierate. Giovanni in particolare ha pensato mille volte al motivo per cui la borgata dove era nato si chiamava Poggiolo. Casa sua, tra l’altro, non aveva nemmeno un balconcino, proprio non capiva.
Tuttavia, era un’altra l’attività che era diventata fondamentale nelle loro giornate insieme: loro erano i campioni del mondo, almeno del loro mondo, di nascondino.
Era il loro passatempo principale, erano fortissimi e trascorrevano intere giornate a nascondersi, mimetizzarsi e cercarsi nei posti più strani e difficili da capire.
A Giovanni piaceva particolarmente giocare a nascondino, perché poteva scoprire angoli bellissimi di quel paesino che profumava di stufe a legna e dolcetti al cioccolato. Ma, soprattutto, perché lui aveva un segreto.
Quel pomeriggio, al Borgo Antico, toccava a Marco contare e poi andare a cercare gli amici. Le regole erano chiare, non ci si poteva allontanare dai confini della borgata dove si ritrovavano. I nonni avevano spiegato loro quali fossero i perimetri esatti di tutte le frazioni del paese e loro, assai onestamente, li rispettavano quando giocavano. Quasi tutti i pomeriggi cambiavano zona, perché ciascuno di loro abitava in una diversa e questo fatto portava con sé altre due belle regole. La prima imponeva che chi ospitava gli altri nella sua borgata, visto che la conosceva bene bene, doveva contare. L’altra era che la sua mamma, la nonna, o anche una brava vicina di casa, preparava la merenda. Ed era sempre una piccola festa che precedeva il gioco: pane e cacao era la merenda più gettonata, ma anche i frutti di bosco con lo zucchero, nella stagione giusta, facevano fare sorrisi gustosi ai bimbi.
Marco aveva contato fino a quarantuno, come sempre. Poi, era partito guardandosi attorno attentamente per non perdersi un movimento o un’ombra che gli facessero vedere uno dei suoi amici.
Annalisa era stata vista dopo pochi minuti: si era nascosta dietro una pianta che impreziosiva il sagrato della bellissima chiesa di San Giovanni. Si era fatta piccina piccina, ma i rami dell’alberello nel vaso non bastavano a nascondere i suoi riccioli biondi come il sole.
Marco l’aveva vista ed era corso davanti al Comune, dove aveva contato, per dichiarare la cattura.
Era poi ripartito in perlustrazione e aveva trovato Paolo dietro un carretto pieno di attrezzi riparato sotto ad un voltino di pietra. Un gatto gli stava facendo le fusa strofinandosi sulle sue gambe e Paolo era allergicissimo al pelo dei micetti. Gli starnuti avevano richiamato l’attento Marco e, come per Annalisa, era stato un gioco da ragazzi trovare anche il secondo amico.
Giovanni, invece, era uno tosto, era sempre complicato trovarlo. Si nascondeva bene e non lo sentivi mai, silenziosissimo, immobile. Tante volte dovevano finire la partita perché bisognava tornare a casa e arrivare in orario per cena, valeva per tutti. E allora, in quei casi, Giovanni usciva trotterellando dal suo nascondiglio e se ne andava felice per aver fregato chi era di turno a contare.
Ma c’era un motivo per cui Giovanni era così forte: era il suo segreto.
Giovanni al Borgo Antico conosceva una stradina che gli permetteva di scendere sulla riva del Rio San Mauro. Nessuno lo trovava mai lì e lui guardava le trote che cercavano da mangiare tra i sassi traslucidi del piccolo corso d’acqua. Osservava da vicino gli insetti che, leggeri leggeri, riuscivano a saltellare sopra l’acqua lasciando piccole impronte del loro passaggio con i cerchi concentrici che si formavano per pochi secondi.
Era proprio lì, in un pomeriggio d’estate come quello in cui Marco lo stava cercando, che aveva fatto la sua scoperta più importante.
A Garessio c’erano gli elfi del bosco! E lo sapeva solo lui. Ma oltre a questo, lui aveva anche scoperto che poteva parlare con loro, capire cosa dicevano e le loro storie erano sempre interessantissime.
Quel giorno era seduto all’ombra, sotto al ponte di pietra che lo nascondeva benissimo, e aspettava che arrivasse dalla boscaglia qualcuno dei suoi minuscoli amici segreti.
Lo scricchiolio quasi impercettibile di un rametto lo aveva fatto girare e davanti ai suoi occhi era arrivato Gyblos. Giovanni era contentissimo, come sempre: paffuto e piccolissimo, era uno degli elfi dei boschi più simpatici e aveva sempre storie buffe da raccontare.
«Ciao Gyblos» aveva bisbigliato felice. «Ben giunto nei boschi, Giovanni» aveva risposto, come sempre faceva, Gyblos. Aveva sulle spalle un piccolo cestino di rametti intrecciati dove faceva bella mostra di sé una fragolina di bosco. Sulle spalle dell’elfo sembrava gigantesca e quel gioco di proporzioni aveva fatto sorridere Giovanni. Gyblos aveva visto lo sguardo dell’amico bambino verso la sua fragola, si era seduto un istante su un piccolo sasso e aveva iniziato a raccontare la sua storia.
«Sai, ho dovuto arrampicarmi sopra una pietra per prendere questa fragolina di bosco. Una pietra vicina alla sorgente che conosci anche tu, poco distante da qui, un po’ scivolosa. Mancava poco che facessi un ruzzolone per riuscire a prenderla, e, una volta nelle mie mani, è spuntata una cavalletta tutta verde che voleva rubarmela. Sono scappato a gambe levate perché con quei dentoni mi avrebbe potuto mordicchiare tutto, ma alla fine ce l’ho fatta e stasera a casa ci mangiamo questa meraviglia rossa tutta puntinata di giallo».
Tutti quei dettagli che Gyblos metteva nelle sue storie affascinavano Giovanni che ascoltava a bocca aperta. Lui sapeva dove trovare la sorgente, ma conosceva anche tanti altri posti dove cercare fragoline di bosco: i bordi delle strade e i boschi tutto intorno al paese si puntellavano di tanti puntini rossi in tutto il periodo che parte dalla primavera e arriva fino ad autunno inoltrato.
«La fragola di bosco è delicata come un cristallo», aveva proseguito il piccolo elfo, «va trattata con delicatezza, rischia di rompersi, di rovinarsi e sarebbe un gran peccato. Devi stare attento a maneggiarla, è preziosa. A me lo ha insegnato un’ape che girava sempre sopra la casa della mia famiglia. Era sempre la prima ad arrivare quando fioriva la Valeriana. Diceva che quel polline la tranquillizzava, le piaceva proprio. Ora sono tanti anni che non la vedo e, se devo dirtela tutta, mi sembra proprio di vedere meno api da qualche anno. Qualcosa mi fa pensare che sia qualche problemino nell’aria», aveva concluso con sguardo serio.
Poi Gyblos si era rialzato dal suo sassolino. Lui rispettava la natura, Giovanni era un libro bianco su cui si potevano scrivere tante buone pratiche da fargli ricordare per la vita intera.
Dal canto suo, tutti i giorni, la speranza di incontrare lui o qualche altro elfo dei boschi faceva sì che a Giovanni cadesse magicamente nella tasca dei pantaloni qualche ricordino della merenda.
«Senti, ma con quella bella fragola, che ne diresti di mangiare questo pezzetto di pane? Credo che ci sia finito sopra un pochino di cacao, penso sia speciale», aveva detto Giovanni certo di ottenere un bel sorriso da Gyblos in cambio. Ed era andata proprio così: la vista di quel pezzetto di pane scuro e il profumo del cacao avevano inebriato il piccolo elfo che, goloso come una marmotta, lo aveva nascosto subito nella borsetta che teneva con una mano. I profondi occhi scuri, assieme alle minuscole rughe attorno ad essi, sembravano pronti a ridere da un momento all’altro.
«Vai ora Giovanni, i tuoi amici staranno diventando matti a cercarti, come sempre».
E Giovanni era uscito dal suo nascondiglio, non sapeva nemmeno quanto tempo fosse stato lì. Marco aveva smesso di cercare e stava ridendo e scherzando con Annalisa e Paolo seduti sulla panchina in legno sotto al portico del Comune. Giovanni era arrivato a fianco a loro, e aveva riso forte, divertito dal fatto che non lo avessero ancora visto. Annalisa aveva fatto un salto sulla panchina, non si aspettava di trovarsi Giovanni proprio a fianco e tutti assieme avevano riso a crepapelle di quell’innocente spavento.
Era quasi ora di tornare a casa. Marco era già nel suo borgo, ma gli altri dovevano camminare un bel pezzo per non arrivare tardi a cena. Si erano salutati, avrebbero dovuto aspettare poche ore per ritrovarsi sui banchi di scuola la mattina dopo.
Giovanni si era messo a correre verso casa. Sotto al viale alberato che collegava il Borgo con il Poggiolo si era fermato un istante. Da una feritoia del muraglione Gyblos lo salutava con l’unica mano libera: stava andando a casa a portare la fragolina di bosco e il pane per cena. Il suo segreto era proprio bello.
Giovanni si era rimesso a correre veloce. I pensieri rimbalzavano tra la bellezza che scopriva ogni giorno nella natura che lo circondava e il timore per il destino delle api.
Oggi Marco e Annalisa insegnano nella scuola elementare di Garessio, realizzano progetti con i quali sensibilizzano i loro piccoli studenti sul tema del cambiamento climatico. La gita di quest’anno è quella che preferiscono e i rispettivi alunni di quinta si daranno la mano, in fila per due, per andare a fare una bellissima passeggiata.
Si va appena fuori dal paese, da Giovanni, divenuto apicoltore, che è sempre felice di raccontare una storia, quella di una piccola ape che spiega a un elfo la delicatezza di una fragolina di bosco. Con Marco e Annalisa, felici per la lezione che si sta svolgendo, che lascerà un messaggio buono e importante ai i bimbi che ascoltano attenti e sorridono quando Giovanni spiega che l’ape raccoglie il polline della Valeriana per calmarsi. Magari hanno sentito qualcosa del genere da un genitore che fatica a prendere sonno e la cosa li diverte sempre. Poi però capiscono che c’è qualcosa che non va nel fatto che le api siano sempre meno. La visita dal simpatico apicoltore, con le sue arnie dai tetti colorati in tinte pastello, chiarisce ogni dubbio e fa capire ai bimbi che le api non sono solo piccoli insetti gialli e neri che ogni tanto punzecchiano qualche manina troppo curiosa. Sono anche un elemento fondamentale per garantire alla natura di continuare ad esistere come la conosciamo.
Alla fine della lezione, Giovanni saluta i suoi piccoli visitatori. Li immagina andare a giocare ai giardinetti del paese come faceva lui, assieme ai suoi amici.
Quando se ne vanno via, lui parte, sempre a piedi e sempre a passo spedito, verso il Borgo Antico del paese. Un saluto a Paolo che ora vende il miele delle sue api nel negozietto che ha acquistato e riempito di cose buone, proprio al Poggiolo, il quartiere dove lui è nato.
Poi, va a sedersi sotto al ponte sul Rio San Mauro, quel ponte di pietra che è sempre al suo posto, anche dopo tutti quegli anni. Chissà se quel giorno il vecchissimo Gyblos o qualche altro elfo dei boschi sarebbe passato da quelle parti. Non aveva mai rivelato a nessuno il suo segreto ma, ogni volta che andava a sedersi lì, continuava ad avere in tasca un pezzetto di pane e cacao. Il suo segreto è ancora troppo bello.
Racconto scritto da Adriano Fedi