
Si continua costeggiando da una parte il rio e dall’altra un antico e caratteristico muretto a secco macchiato dai piccoli licheni, indice di aria salubre. Se in primavera il giallo dei fiori di primula cattura il nostro sguardo, d’estate è il rosso vivace delle fragoline di bosco a tentarci. Qui in prevalenza sono gli ontani a farci ombra e ad accompagnarci ad un’altra bella panchina in legno, posizionata adiacente all’ingresso di una delle tante grotte carsiche presenti in Alta Val Tanaro. È per me ed i miei figli, la grotta dei folletti della montagna, affascinante porta d’ingresso ad un misterioso mondo ipogeo. Sulle sue balze calcaree, i folletti talvolta lasciano una monetina visibile solo dagli occhi innocenti dei bambini.
Il corso d’acqua antistante la grotta si allarga e noi, ragazzini di un tempo, trasformavamo questo tratto di fiume, in una mirabolante pista per le barchette. Un gran lavoro preliminare consisteva nella sistemazione della pista, togliendo eventuali ostacoli portati dalle piene del fiume e nella preparazione dei piccoli natanti, porzioni di rami di sambuco, lunghi una decina di centimetri, intagliati in loco con la puera (il ronchetto). Ognuno aveva le sue tecniche per tentare, con l’aggiunta di alettoni e derive, di rendere i prototipi più performanti! Le competizioni consistevano nel rilasciare un poco a monte le barchette tutte insieme, seguirle, aiutandone la navigazione con urla di incitamento, sino al raggiungimento di una immaginaria linea di traguardo posta al temine dello specchio acqueo. Correnti a mulinello e radici affioranti rendevano le gare sempre incerte nel risultato. Gamberi di fiume e giovani avannotti erano spettatori inconsapevoli.
Brevissimo è il tratto che segue in leggera salita, sulla destra alcune pietre sono traccia di una costruzione conosciuta come “il canile”, quindi la strada torna subito piana ed entra nel tratto più ombroso dove il ruscello si allarga a formare più ampi specchi d’acqua.
Un tavolo in legno e due panche sono ottimo punto di sosta. Poco più avanti le chiare rocce calcaree degradano con più dolcezza verso il fiume permettendoci, se accaldati, di mettere i piedi nell’acqua fresca in uno spazio dove spesso il sole fa capolino tra le fronde degli alberi. È anche il punto in cui, nelle giornate invernali, il ghiaccio forma, con l’acqua che filtra dalle rocce a monte, ampi lastroni istoriati con disegni dovuti all’aria rimasta intrappolata. Dalle balze rocciose gelide stalattiti affascinano grandi e piccini e i cristalli di brina sull’erba, che attende la bella stagione, perfezionano la bellezza del luogo generando nell’animo un senso di calore emotivo forse a contrasto del freddo reale che ci circonda.
Da lì si vede, davanti a noi, un bivio: a destra il sentiero per la sorgente di Carulin, a sinistra la carrareccia per il Colle S. Bernardo che conduce, in pochi minuti, alla Cappella di S. Mauro. Nel prossimo episodio, l’ultimo, li percorreremo entrambi.
Nella foto: La grotta “dei folletti”.
Scritto da Maurizio Gualdi