
L’annosa questione dello spopolamento della montagna è da tempo al centro del dibattito locale. La tendenza, iniziata oramai da decenni e mai invertitasi, si è accentuata negli ultimi anni, a causa dell’invecchiamento della popolazione e del conseguente calo demografico. Se fino a qualche anno fa pareva assurdo comparare realtà come quella di Garessio a paesi oramai quasi del tutto spopolati, o comunque con un numero di residenti fissi molto limitato, ora questa deriva non sembra essere così remota, soprattutto per i paesi che già nei tempi di massimo splendore non vantavano una popolazione molto numerosa.
A fronte di questo continuo spopolamento, non si può che dire che le istituzioni siano sempre rimaste inerti. Negli ultimi anni ingenti fondi sono stati destinati alla montagna ed alle cosiddette aree interne, per promuovere le attività locali e tentare di fornire quegli essenziali servizi dei quali i residenti necessitano.
Tuttavia, è oggettivamente innegabile che alcune scelte, nonostante la dichiarata attenzione alla realtà montana ed alle relative promesse di sostenerla, si pongano in chiaro contrasto con gli interessi chi in queste realtà vive.
Da ultimo si è avuta, a cominciare dal corrente anno scolastico, la modifica degli orari delle scuole di Mondovì, ossia del centro che, storicamente, era il principale polo di istruzione secondaria superiore (anche) per la Val Tanaro. Ormai da anni i collegi sono scomparsi, e gli studenti hanno cominciato a viaggiare quotidianamente per frequentare le lezioni. Viaggi che, come risaputo, non sono sempre dei più facili, soprattutto recentemente, e che hanno sempre visto i giovani trascorrere una rilevante parte della giornata sugli autobus – suscitando talvolta lo stupore dei compagni monregalesi, che quasi non si capacitano di come si possa impiegare così tanto per andare e tornare da scuola. Delle problematiche relative alla viabilità ed ai trasporti pubblici locali si è già scritto in passato, qui come in altre sedi, e si può quindi evitare di ribadire tutto quanto è già stato detto (e si continua a dire).
Il cambiamento di cui si è detto, in particolare, prolunga di un’ora le lezioni quotidiane, in cambio del riposo il sabato. Senza voler negare il beneficio di avere due giorni di riposo, non si può che rimanere quantomeno scoraggiati dalla prospettiva che si offre a chi intenda iscriversi ad una scuola di Mondovì: oltre alla levataccia, non sembra ora verosimile fare ritorno a casa (per uno studente in Garessio, e quindi addirittura più tardi per chi abita più lontano) prima delle 15:30 – al netto di eventuali ritardi e problematiche varie.
Considerato che, almeno di norma, la scuola (che si ricorda essere “dell’obbligo” almeno fino ai sedici anni) comporta, oltre all’impegno delle lezioni, anche una fondamentale attività di studio, non si possono che compatire i nostri concittadini, che evidentemente si sono visti ridotto, e non di poco, il tempo da dedicare a tale scopo.
Tanto che molti studenti, al fine di concludere il percorso scolastico già cominciato in precedenza, si sono visti costretti a trasferirsi a Mondovì.
Sarà indubbiamente lecito, nei prossimi anni, aspettarsi un deciso calo delle iscrizioni negli istituti monregalesi – almeno da parte dei ragazzi che non abitano nei dintorni. Per chi intenda scegliere una scuola presente anche a Ceva, non sarà un problema, essendo tale polo scolastico da anni una valida alternativa a Mondovì. E tuttavia, tendendo a mente che molti indirizzi a Ceva non sono presenti, qualcuno si vedrà costretto, o quantomeno troverà più logico, rinunciare alla scuola alla quale si sarebbe iscritto più volentieri.
E così, si compone un quadro piuttosto paradossale: da una parte, l’asserita intenzione di favorire il ripopolamento (o, almeno, sfavorire lo spopolamento – si perdoni il gioco di parole) della montagna, dall’altra una decisione che non solo taglia ulteriormente fuori i paesi più isolati, ma lo fa a scapito dei giovani, che sono l’elemento essenziale per la sopravvivenza dei centri più piccoli. Senza poi considerare il diritto allo studio, che non è certo una prerogativa di importanza secondaria.
Si sente spesso parlare di “resilienza” della montagna e di chi la abita: ci si può solo augurare che essa, sebbene messa spesso a dura prova, non venga mai meno.
Scritto da Francesco Viglino