
Esattamente ottant’anni orsono, mentre in gran parte dell’Europa infuriava la seconda guerra mondiale, anche le vallate del basso Piemonte furono teatro di sanguinosi combattimenti. In particolare, nel marzo del 1944 ebbe luogo la battaglia di Valcasotto, importante scontro tra le prime organizzazioni partigiane e le truppe tedesche.
La battaglia – che sarà oggetto di un interessante convegno il prossimo 16 marzo, presso il Castello di Casotto – può essere addotta come tipico esempio di momento in cui la “grande storia” investe luoghi e persone che, vivendo in luoghi isolati e solitamente poveri di avvenimenti, sono loro malgrado costretti a subire gli effetti di eventi destinati a rimanere impressi non solo nella locale memoria collettiva, ma anche nei libri di storia. E tipicamente, questi punti di incontro tra la grande storia e le esistenze più minute sono spesso connotati da avvenimenti funesti.
Per ricostruire gli eventi di quei giorni, ed in particolare al fine di comprendere a fondo le conseguenze che gli stessi ebbero sugli abitanti della Val Casotto, è possibile consultare gli “appunti” di don Emidio Ferraris, allora parroco di Valcasotto, che rese conto degli eventi succedutisi durante la guerra partigiana.
La cronologia degli eventi di don Ferraris è non solo una valida fonte storica, ma anche un prezioso ricordo delle persone travolte dai combattimenti tra l’esercito tedesco e le formazioni partigiane.
Il contesto in cui si inserisce la battaglia di Valcasotto è quello che segue l’otto settembre ed il conseguente sbandamento dell’esercito italiano. A seguito della firma dell’armistizio, le forze italiane persero ogni forma di controllo e coordinazione: in molti si avviarono verso casa, altri continuarono a combattere, altri ancora, soprattutto nelle zone collinari e montuose, si organizzarono nei gruppi che costituirono il primo nucleo della Resistenza.
Nelle nostre zone si verificò proprio quanto esposto: un grande numero di soldati di quello che rimaneva del regio esercito, provenienti in particolare dalla Francia (ove la tentata invasione degli anni precedenti non aveva tra l’altro avuto alcun successo significativo) e non disposti a continuare a combattere dalla parte della neonata Repubblica di Salò, si diede alla macchia, costituendo svariati gruppi armati. L’esercito tedesco, da alleato, divenne istantaneamente nemico ed invasore, e l’Italia settentrionale terra occupata da liberare con una feroce ed estenuante guerra che durerà un anno e mezzo.
Fondamentale, in questo contesto caotico, fu l’incontro di molti esponenti dei gruppi di “ribelli” di Piemonte e Liguria (con personalità che, negli anni a seguire, avrebbero assunto ruoli centrali nella lotta di liberazione) tenutosi proprio a Valcasotto, presso la trattoria “Croce Rossa” nell’ottobre del 1943, quindi appena un mese dopo l’armistizio. In questa sede i primi partigiani decisero di darsi un’organizzazione, in modo da dividersi le aree di competenza e riuscire a fronteggiare più efficacemente il nemico.
La Val Casotto, stretta tra i ripidi versanti delle prime montagne delle Alpi, era sicuramente un territorio adatto alle esigenze strategiche dei partigiani, sia per la difficoltà di trovare chi ivi si nascondeva, sia per la possibilità di raggiungere molti centri urbani ed importanti direttrici. Le azioni dei partigiani, infatti, consistevano in quei mesi nella discesa nelle valli circostanti per effettuare continue azioni di guerriglia e disturbo.
Nell’inverno tra 1943 e ’44 giunse in questi luoghi Enrico Martini, il celebre comandante “Mauri”, il quale ben presto assunse il comando della “Brigata Valcasotto”, che nel giro di qualche mese si era ampliata fino a comprendere oltre un migliaio di uomini. Le truppe erano dislocate in numerose frazioni sparse sui versanti della valle, mentre il comando fu fissato nel Castello di Casotto, allora di proprietà della famiglia Baldracco, che si impegnò fortemente nel prestare aiuto alle forze partigiane.
Anche per il Castello di Casotto1, che già era stato teatro di scontri nel contesto delle guerre napoleoniche (e che venne infatti in parte distrutto dai colpi dei cannoni francesi, quando era ancora una certosa), fu un altro momento di incontro con la grande storia che – si anticipa – fu nuovamente tragico. La ex residenza sabauda ben si prestava ad ospitare il centro di comando della brigata: da qui Mauri avrebbe diretto, per tutto l’inverno, le operazioni dei suoi uomini.

Gli appunti di don Ferraris raccontano dell’arrivo di Mauri e dell’organizzazione che diede ai suoi uomini durante i mesi invernali. Nel mese di febbraio le truppe tedesche cominciarono ad occupare le valli attorno alla Val Casotto, ed in breve fu chiaro che anche questi luoghi sarebbero stati oggetto in un imminente attacco: la volontà degli occupanti era quella di costringere i ribelli ad abbandonare la valle, di modo tale che risultasse più difficile per questi ultimi continuare nelle azioni di sabotaggio dei mesi precedenti, e di punire in maniera esemplare la popolazione locale, colpevole di aver prestato assistenza ai partigiani. La difesa della zona non era facile, sia per la conformazione dei luoghi, che in quel periodo erano inoltre ricoperti da una spessa coltre di neve, sia per la possibilità per il nemico di avanzare da molte direzioni, e quindi di accerchiare i partigiani. Inoltre, nonostante il buon numero di soldati a disposizione di Mauri, questi non disponevano di armi e munizioni sufficienti a respingere il nemico.
Negli ultimi giorni di febbraio, i partigiani dalla Valcasotto attaccarono i Tedeschi, che avevano occupato Garessio, posizionandosi presso l’albergo Miramonti. Non prima di aver effettuato rastrellamenti e portato devastazione, le truppe tedesche e repubblichine si ritirarono da Garessio il giorno 27.

In questa difficile situazione, il nemico sferrò l’attacco nei giorni centrali di marzo: la battaglia infuriò per alcuni giorni, dal 13 al 17. La difesa preparata da Mauri, sebbene organizzata a dovere, non ebbe speranze contro la veloce avanzata delle formazioni tedesche, che attaccarono rapidamente da diverse direzioni. La notte del 14 i Tedeschi entrarono a Valcasotto, e cominciarono ad occupare le case ed effettuare rastrellamenti sulla popolazione locale, fucilando coloro che erano ritenuti alleati dei partigiani. Il comando tedesco si insediò nella trattoria “Croce Rossa”, proprio dove qualche mese prima si era tenuto il ritrovo di personalità partigiane già ricordato. Dalla frazione i Tedeschi risalirono verso i borghi più a monte, e contemporaneamente attaccarono la correria del Castello di Casotto, che fu a sua volta occupato il 15: un carro armato sfondò il portone di ingresso, e i soldati devastarono la struttura, in particolare distruggendo molti mobili e suppellettili. Gli effetti di questa distruzione si notano ancora oggi: il mobilio del Castello è infatti molto limitato, in quanto la maggior parte di esso andò distrutta in quei giorni.
Nello stesso giorno la popolazione di Valcasotto fu radunata per ricevere ordini dal comando tedesco: fu imposto il coprifuoco e vietato di prestare qualunque aiuto ai partigiani.
Nel giro di pochi giorni, come detto, i Tedeschi raggiunsero i rifugi partigiani dislocati nei borghi attorno a Valcasotto: molti edifici furono dati alle fiamme, privando molte famiglie della loro abitazione. I partigiani si videro costretti alla ritirata in condizioni di estrema difficoltà: circondati dal buio e dalla neve abbandonarono la zona inerpicandosi per i sentieri montani.
Nello scontro caddero oltre cento partigiani, e vennero uccisi circa trenta civili.
La battaglia fece comprendere a Mauri come fosse controproducente mantenere una posizione difensiva in montagna, e che quindi era opportuno mutare la strategia di combattimento, come in effetti il comandante fece nei mesi successivi.
Nei giorni dello scontro, un ingente numero di truppe tedesche fu impegnato nell’occupazione della Val Casotto: lo sforzo dei partigiani fu certamente utile alla causa della guerra, oltre che una grande dimostrazione di valore e coraggio, indubbiamente meritevole di essere ricordata anche oggi. E la memoria collettiva non è certo venuta meno a questo dovere, mantenendo sempre vivo il ricordo di questi funesti eventi.
- Al solo fine di precisare la toponomastica, è bene ricordare che il Castello di Casotto si trova in Comune di Garessio, e non di Pamparato, come invece la frazione Valcasotto, che rispetto al Castello è sita qualche chilometro più a valle. Il Castello, infatti, è “di Casotto”, e non “di Valcasotto”, come a volte viene erroneamente chiamato.
Scritto da Francesco Viglino ↩︎