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Una giornata da villeggiante. Estate 1977 – Prima parte: la mattina

- 08/04/2024

La prima percezione è quella della luce; quell’improvvisa invasione di luce che occupa ogni spazio della
stanza all’aprirsi delle vecchie persiane in legno, che si affacciano sul retro della casa.
Segue l’aria fresca. Entra in camera portando tutti i profumi raccolti nella sua veloce discesa dalle colline di levante.
Arriva con mosche e farfalle, con il frinire dei grilli, col profumo dei castagni e dei meli, del mare e delle mucche al pascolo, col suono dei loro campanacci.
C’è il sole! Una serenità totale mi pervade in queste giornate di villeggiatura estiva trascorse a Garessio con le nonne.
Il sole è in cielo, è in casa, illumina parte della tavola già apparecchiata per la colazione; il sole è dentro noi bambini e quasi ci eleva a qualcosa di mistico, certamente di puro.
La fragranza dei crostini, preparati sul momento con gli avanzi di “grissa” del giorno prima, ed il profumo caldo del latte, quel latte vero, grasso, lasciato in bottiglia sull’uscio da Aldo e Chiara, ci fanno correre a sedere in cucina, in quella cucina così tradizionale con la sua credenza in legno laccato bianco, le sedie, sempre in legno, ma rosse, il lavandino in marmo e le tendine, cornice a quella magnifica vista sul prato, verde smeraldo, vivo.
Fabrizio, che abita sotto di noi, anche lui villeggiante, è già pronto e ci attende per iniziare una nuova giornata di giochi; Maria Carla ed io arriviamo sempre un po’ dopo, e lo raggiungiamo in cantina dove teniamo le biciclette.
Anche il profumo della cantina, con quel pavimento in cemento grigio liscio ma puntinato, ci dà il buongiorno garessino!
Fuori le bici!
Un ultimo frettoloso saluto, accompagnato da un cenno di assenso alle raccomandazioni di rito, precede il primo colpo di pedale.
L’ambiente che abitiamo diventa parte di noi, ci forma, ed il contesto, in cui lo viviamo, imprime ad esso una sorta di marchio, che lo caratterizzerà per sempre; e così è per quel percorso in bicicletta dal prato di casa, attraverso il voltino, la piazzetta, la breve salita al pilone, la discesa, ripetuta infinite volte, con variazioni di salti, derapate, risate e scherzi. Il marchio impresso è quello della serenità e della spensieratezza.
Quella del Borghetto è una discesa nell’umanità, un’umanità fatta di persone anziane, ragazzi più grandi, bambini, tantissimi bambini. È una discesa di raccolta perché ogni metro percorso è incontro e coinvolgimento; è un continuo saluto ai “vecchi” genitori e nonni.
È una sfida, è relazione, è libertà e regola.
E così, passato il breve voltino, ci sono Sonia, Marino, Fausto, Giulio ed Elmo con le sue sorelle Anna e Maria, più grandi di noi, Claudio ed il fratello minore Marco, Roberta di Arnasco per distinguerla dall’altra Roberta, la sorella di Monica, e proprio accanto alla loro casa, Gianni e Marilù e loro cugino Marco e poi Flavio e Massimo, fino a giungere, in fondo alla via, alla casa di Luca e Fabio, molto amici di Alberto, che abita un po’ più in su; spesso c’è anche Claudia, che viene a trovare la nonna.
La mattina è il momento dell’organizzazione: mentre si scorrazza, sempre rigorosamente in bicicletta, magari con una cartolina piegata tra i raggi a simulare il rumore del motore, si pensa alle attività del pomeriggio. Al mattino, spesso ci sono anche le commissioni per le nonne ( il pane e un po’ di frutta da Isabella e Marcello, il giornale dal tabacchino del Borgo, in occasioni speciali una treccia dolce da Achille), a volte, attrezzati di gambali, bastone ed un giacchetto indossato al contrario, si parte presto per andare per funghi alla “Grietta” guidati, in branco, da Silvana, altre si scende giù al Ponte alla Fiera, occasione sia per fare acquisti sia per fare tappa ai giardinetti dove ci sono, come ai Boschetti, i giochi per bambini.
In alcune giornate, scritte su chissà quale calendario, giungono in piazzetta, annunciati dalle loro voci, l’arrotino ed il pescivendolo con il carretto; le nonne ci tengono ad andare e noi con loro, incuriositi, apparendoci quelle presenze, oramai sconosciute in città, il residuo di una storia che va scomparendo.
Se al mattino non ci sono altri programmi speciali, si va alla “miniera di ferro”, dopo il Pilone, o alla “capannetta”, di là da “Chiarella”, si prepara la pista per le macchinine sotto il voltino, si cercano le lucertole nei muretti a secco o i gamberi, le “botte” e gli avannotti di trota nelle acque fresche del San
Mauro. Si gioca con la “sgatela”, la fionda; più grandi con la “puera”, il ronchetto.
La mattina è un po’ una conferma, la garanzia che stiamo in Paradiso, in quell’Eden fatto di amici, grilli, vento, profumo di fieno e di vacche, di giochi, di nonne.
Eccole le nostre nonne, Rina e Maria, versione bonaria dei genitori!
Con le loro cappette estive, a fiori bianchi e azzurri, le scarpe a rete, i fotoromanzi di “GrandHotel”, la sdraio dove, tra ombra e chiacchiere, riposare, ma anche e soprattutto con le loro coccole, fatte di manicaretti ed attenzioni, con le loro regole meno stringenti, la loro complicità quando riduciamo di una pagina i compiti, la disponibilità al gioco.
Le nonne sono adulti in sintonia con i bambini.
Sono mani esperte, che accompagnano i nipoti nella fanciullezza e da loro recuperano la spensieratezza di quell’età.
Eccole le nonne, chiamano! È mezzogiorno e noi, già sudati, felici, immersi nella nostra avventura, corriamo a pranzare, veloci veloci, pronti per i giochi che fuori, al sole, ci stanno aspettando…

Scritto da Maurizio Gualdi

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