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I mulini non sono tutti a vento

- 07/03/2024

I laghi di Ortico compaiono e scompaiono complice il forte deficit idrico, e questo è chiaro a tutti coloro che abbiano letto l’articolo della scorsa pubblicazione, invece il Rio San Giacomo ha sempre goduto di un bacino pieno, e infatti…

Alzi la mano chi non conosce il famoso Biale di Ormea, quell’antico metodo utilizzato dai nostri vicini per ripulire le strade del centro storico, soprattutto dalla neve. La pratica del “dare il Biale” (incanalare l’acqua), sfrutta la naturale pendenza delle vie centrali e la forza dell’acqua dei torrenti: tramite una rete sotterranea di tubature e chiusini, realizzata attorno alla fine dell’800, l’Armella viene fatto esondare nelle vie del centro, allagandole. All’inizio di ogni strada viene aperto un tombino da cui far sgorgare l’acqua, la quale, a tragitto compiuto, fluisce in un altro più giù, per riversarsi poi nel Tanaro.

A Garessio, specificatamente nella zona del Borgo Maggiore (così come al Ponte qualcosa di simile nelle attuali via Diaz e via Vittorio Emanuele svoltando in Riva Sottana), ha funzionato la stessa tecnica fino ai primi anni ‘70, soprattutto durante le nevicate per via dell’irreperibilità dei mezzi spartineve (era solito l’antico “Izon”, un triangolo di assi trainato dai buoi).
Sulle tracce di quel che è stato, incontriamo Carla Briatore, classe 1940, nata e cresciuta al “Mercato”, che ci restituisce un’immagine bucolica del tempo, fatta di masche e libri di incantesimi. Ci spiega che, mentre le ragazze tipicamente si recavano al fiume per lavare i lenzuoli, le masche rifiutavano di bagnarsi, uscendo così allo scoperto; ricorda l’importanza di bruciare le vesti infettate dal tifo, e di quel libro, chiamato della Catena, che subì le stesse sorti. Parla dei lavatoi sotto il Ponte Rosa e il ponte della chiesa; e di una manovella per issare la statua del Cristo Risorto nella Chiesa dei Battuti Parvi, con la quale ai matot’ piaceva giocare durante la funzione del sabato (prima a spuntare era la bandiera e a volte il meccanismo si “incantava”, la statua è ora nella Chiesa dell’Assunta). Infine, nomina il suo matrimonio alla chiesa di San Giacomo, ed è proprio su quest’ultima che ci soffermiamo.

Con il suo mulino, faceva da estremo all’elaborato sistema di tubature e chiusini che proseguivano per tutta la via della borgata e perciò era il punto di partenza del meccanismo, che invitava la comunità ad unirsi ed impiegarsi per pulire il paese. È per noi stupefacente immaginare quanto un così breve tratto di torrente del Rio abbia ricoperto un ruolo tanto fondamentale ed importante e che questo venisse riconosciuto da tutta la cittadinanza. Infatti, dai bambini agli anziani, tutti erano coinvolti a spalare la neve e gettarla tra le gelide acque del torrente, donne e ragazze ovviamente comprese.
E tutta questa acqua dove confluiva? Nei pressi del Ponte Rosa, fino al Rio San Mauro; da monte a valle, dalla parte alta della borgata (il “Mercato”), fino alla parte bassa, una discesa, senza sprechi, esempio di perfetta ingegneria.

L’aiuto di Carla per la ricostruzione di questa tradizione è prezioso e condivide con noi anche un aneddoto simpatico che riguarda Tota Adelina – Tota come appellativo di nubile. L’apertura del Biale era annunciata da un grido iniziale e riferito per passaparola, così coloro che non udivano la notizia si ritrovavano con la cantina allagata e pare, appunto, che alla signora Adelina questo accadesse di frequente. Inoltre, poteva succedere che gli abitanti della parte più alta esagerassero, creando così un lago nella Piazza del Comune.
Intanto, al ritmo dei ricordi della nostra guida, costruiamo un percorso di risalita a piedi della borgata, e, superata la chiesa, cerchiamo tra la fitta vegetazione inselvatichita quelle che furono vasche naturali adibite al lavaggio dei panni e che oggi, nascoste, possono essere scorte solo da un occhio attento, seguendo la fila delle pietre piatte. Si intravedeva un tempo anche il molino della famiglia Facelli con le sue finestre.
Passando il “Ponte dei Corni”, giungiamo al Butasu, l’oasi provvista di laghetto e cascata gettonata per rinfrescarsi dalla calura estiva.
Era qui presente un altro mulino e, anche questo, faceva da punto di partenza ad un profondo reticolo sotterraneo di tubature, la cui acqua era impiegata per irrigare tutti gli orti della zona circostante. Contemporaneamente, la leggenda narra della presenza di “cürlotti”, ovvero mulinelli d’acqua molto pericolosi provocati proprio dai canali, che rendevano infine il lago del Butasu inaccessibile al bagno se non ai più coraggiosi.
Tutto il meccanismo, in primis la presa principale che alimentava il Biale del Borgo, venne distrutto in seguito all’allargamento della strada per il Colle San Bernardo, verso la fine degli Anni Settanta; una perdita non da poco se consideriamo l’attrazione e l’utilità che ha per Ormea.
Al termine della nostra gita, ci imbattiamo in un’abusiva discarica a cielo aperto lunga tutta la scarpata che nasconde dietro a sé il paradisiaco Butasu, tristemente alimentata dai rifiuti gettati dai finestrini dei viaggiatori dell’attuale SS582.

Concludiamo provando un sentimento di anemoia, ovvero una nostalgia verso qualcosa di cui non siamo stati protagonisti, ma per cui siamo capaci di sentire coinvolgimento grazie alle narrazioni altrui. Quindi rivolgiamo un ringraziamento speciale a Carla, grande memoria storica del nostro paese e, altrettanto, a Paola Gula e Pierandrea Camelia, per il fondamentale supporto durante la scampagnata, sottolineando la riconoscenza per il nostro incontro.

Scritto da Aurora Sappa e Michele Odda

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