
È il decimo secolo, siamo nei pressi di Acqui Terme, una giovane donna germanica in cammino verso sud ha le doglie; lei e l’uomo che l’accompagna vengono accolti per l’emergenza nell’abbazia di Santa Giustina. Superate le ore di travaglio viene alla luce un bebè, chiamato Aleramo, dall’antico piemontese aler, allegro, come buon auspicio. Trascorsi due mesi ospiti dei signori del luogo, la donna e il compagno affidano il neonato alla balia e riprendono il pellegrinaggio per Roma, in virtù dell’impegno preso qualora fossero stati graziati con l’arrivo di un figlio. Si tratta di un viaggio dal quale non faranno mai ritorno, facendo così di Aleramo un orfano. I signori di Sezzadio lo crescono ed educano come cavaliere; diventa prestissimo lo scudiero di un nobile.
Una rivolta della città di Brescia attira l’imperatore Ottone I di Sassonia sull’area. Per l’occasione, chiede ai signori della regione di riunire diversi scudieri fidati, tra i quali è presente Aleramo che si distingue per eleganza e gentilezza. L’Imperatore chiede di conoscerlo e, impressionato dalla sua storia, lo invita a far parte della sua corte.
Gorbu du Paré è la grotta numero 140 del catasto piemontese, per raggiungerla è necessario affrontare una breve porzione di un costone che dalla Pietra Ardena scende fino al Rio Malsangua. Si tratta di una cavità angusta, la soglia è circolare di circa 2 metri e apre ad un piccolo vano, un salto di tre metri e poi un corridoio, che si conclude con fessure impraticabili. Per terra, c’è terriccio.
L’Imperatore Ottone I ha una figlia prediletta, si chiama Adelasia, è molto bella ed è predestinata ad essere sposa di un nobile influente. Poiché le passioni sono inclini a fuggire ogni tentativo di controllo, è in breve tempo che i piani dell’imperatore vengono scombinati.
Aleramo e Adelasia si innamorano. Subito realizzano che il loro è un amore proibito e decidono di proteggerlo, scappando. Insieme, al dorso di un cavallo bianco lei e su di un cavallo rosso lui, prendono la via per la terra natale di Aleramo, sostando sfiniti nella valle del Tanaro, a Garessio.
Tra la vegetazione selvaggia, trovano riparo nella cavità rocciosa della Pietra Ardena, al Gorbu du Paré, esattamente, un posto così isolato che li accoglie stanchi e affamati, ma salvi.
In cerca di viveri, Aleramo incontra dei carbonai, cioè degli esperti della trasformazione del legno in carbone, diffusissimi tra queste montagne piene di boschi di castagno. In cambio di lavoro, ottiene il cibo che stava cercando. Dopodiché costruisce una capanna, e inizia così, quindi, anche una nuova vita, con la amata al suo fianco.
Lui apprende il mestiere di carbonaio e crea un commercio sul mercato ligure, rifornendo di carbone anche le cucine del Vescovo di Albenga, familiarizzando con il cuoco e diventando ospite gradito del palazzo. Adelasia, abile ricamatrice, realizza borse e confeziona piccoli oggetti da rivendere, sfruttando anche lei lo sbocco sulla riviera e la benevolenza del Vescovo, che li accoglie spesso insieme al piccolo Ottone, loro primogenito, il cui nome è scelto in onore del nonno.
Ulteriori sussulti da Brescia animano ancora l’impero di Ottone I e di nuovo scudieri e cavalieri sono chiamati a intervenire. Nel gruppo c’è anche il giovane Ottone, che, sotto l’ala del Vescovo di Albenga, è stato addestrato come scudiero anche lui, mentre Aleramo partecipa alla spedizione, ma nelle vesti di cuoco da campo.
Una serie di circostanze conducono infine Aleramo a battersi e distinguersi per i risultati ottenuti, tanto che, ancora una volta, l’Imperatore ha volontà di conoscere personalmente questo capace destriero.
Ovviamente Aleramo fa in modo di evitare l’incontro, però non può negare la sua partecipazione a una giostra organizzata per celebrare la vittoria conseguita.
Camuffatosi a dovere vi partecipa, e in questa occasione è il Vescovo a capire l’imbroglio, il quale, certo della clemenza dell’imperatore, gli consegna la verità.
La conclusione di questa storia vede uno scenario roseo: come aveva intuito il Vescovo, l’imperatore Ottone I è grato di potersi unire nuovamente alla figlia e con lei, insieme alla sua famiglia. Aleramo ottiene il titolo di marchese, con una marca da governare, delineata da lui stesso, secondo gli accordi, cavalcando ininterrottamente per tre giorni tra Piemonte e Liguria, iniziando così la dinastia degli Aleramici, il cui stemma bianco e rosso richiama i colori dei cavalli di Adelasia e Aleramo durante la fuga.
È anche a questa leggenda, tra altre, che si rifà la storia del nome Monferrato, ancora oggi una delle zone più importanti dell’antica marca aleramica. Pare che durante la corsa per segnare i confini del marchesato il cavallo perse uno zoccolo e Aleramo si arrangiò per ferrare l’animale con un mattone. Da qui Munfrrha, con ‘mun’ per mattone e ‘frrha’ per ferrare.
Chiaramente la vicenda di Adelasia e Aleramo mescola il reale e il meraviglioso e quello che sta a cuore a noi è la presenza in questo contesto immaginifico di uno dei nostri luoghi nascosti, il Gorbu du Paré, appunto. Una piccola grotta di scarso valore turistico, tanto appartata, quanto significativa come luogo salvifico per diverse sopravvivenze.
Un’altra storia parrebbe vederla protagonista, questa più recente, ci arriva dalle testimonianze di Elia Naso e Francesca Dani. Gli anni sono quelli della seconda Guerra Mondiale, a Garessio c’è gran fermento, tedeschi e partigiani sono in arrivo in paese. Albina Fazio pensa a nascondersi, mettersi al riparo e soprattutto proteggere la piccola figliola, Maria Rosa Dani. Le due trascorreranno un paio di giorni nella spelonca, forse tre, facendosi tutt’uno con le pareti rocciose, nel silenzio, mimetizzandosi il più possibile. L’anfratto anche qui è luogo di rifugio, si fa casa, per quanto angusto possa sembrare. Eppure, è significativo come, nell’emergenza, sia possibile spogliarsi in fretta di ogni necessità e ritrovare la capacità naturale di affidarci alla terra, specificatamente, nel nostro caso, popolo pedemontano, alla montagna.
[Ci teniamo a sottolineare che quest’ultimo aneddoto non sappiamo se riguarda il Gorbu du Paré o un’altra grotta nella vallata del Rio San Mauro]
Grazie ad Elia e Francesca per aver condiviso con noi questo ricordo!
Scritto da Aurora Sappa e Michele Odda.
