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I giovani garessini tra passato e presente

- 15/05/2024

Le chiacchiere di paese si consumano insieme ai caffè nei bar del Ponte, e il pensiero comune della fetta di popolazione tra i quaranta e i sessant’anni è pressoché noto. Ma la nostra redazione si è posta come obiettivo quello di creare un’occasione di conversazione tra i giovanissimi e i “diversamente” giovani, due fasce di età che troppo spesso sono rimaste senza una voce. Per riuscire nell’intento, grazie alla mediazione di Stefania Afferni, Il Garessino ha organizzato un dibattito generazionale tra alcuni ospiti dell’Opera Pia Garelli e una manciata di adolescenti tra i quattordici e i diciannove anni, partendo da un primo quesito per i più anziani: com’era la vostra Garessio?

Le vecchie generazioni ricordano un luogo che ormai faremmo fatica a riconoscere. Parlano di un paese vivo, con tanti negozi, alberghi e tantissime iniziative. Ci narrano di un tempo in cui le famiglie erano numerose, le strade erano piene di bambini, che riempivano le giornate di canti e movimento per tutto il paese. Ma cosa facevano i giovani di una volta?

Il primo elemento di unione per loro era sicuramente la Chiesa. Il rito stesso della Confessione era visto come un momento di ritrovo in occasione delle grandi feste, perché tutti, dal primo all’ultimo, andavano a confessarsi. Non è certo una novità che, in Italia, la frequenza alla messa domenicale sia in drastico calo e che la distanza tra i giovani e le istituzioni ecclesiastiche risulti essere sempre più abissale. Ma al di là della intima fede di ognuno di noi, sembra che, al tempo dei nostri nonni, i doveri religiosi fossero delle vere e proprie convenzioni sociali e che gli eventi legati alla Chiesa scandissero sistematicamente la vita delle persone.
Oggi chiaramente la situazione è molto diversa: i giovani stessi ammettono di avere altre priorità e la generalizzata distanza dalle istituzioni ecclesiastiche è innegabile. Eppure a Garessio sopravvive ancora un legame e una fiducia con alcune figure dell’ambito. Qualche esempio? Ricordiamo l’amatissimo don Aldo e i suoi campeggi degli ultimi anni, ma anche la volontà di rimettere in piedi luoghi di coesione sociale come l’oratorio è un segnale da considerarsi positivo.

Un altro modo che i nostri avi conoscevano per stare insieme era lo sport, uno di quei capisaldi che forse, nel tempo, è rimasto. Certo, anche qui il mutamento è evidente: se torniamo indietro a più di mezzo secolo fa, andare insieme in montagna era percepito come un rito per la comunità e qualcuno ricorda come il “fare movimento” permeasse ogni ambito della vita. Ci si spostava a piedi non solo per uscire, (qualcuno ci parla di eterne camminate fino a Vicoforte per la festa del Santuario) ma anche semplicemente per andare a scuola o al lavoro. Il mezzo di trasporto più usato era la bicicletta, ma per molti era un sogno e, in alcuni casi, si lavorava mesi interi per realizzarlo. Oppure, anche quando la si possedeva, la si condivideva con tutta la famiglia e spesso ci si ritrovava a fare affidamento esclusivamente sulle proprie gambe.
Oggigiorno lo sport rimane importante nella vita dei giovani, ma forse più come attività ludico-ricreativa, e lo stile di vita sedentario è diventato il modus operandi di molti, non più obbligati a spingere meccanicamente su un pedale per un semplice tragitto casa-scuola. Per la Generazione Z garessina le necessità sono ben altre: il tragitto sopracitato li obbliga a lunghe ore su mezzi di trasporti con orari poco flessibili e tempistiche difficilmente conciliabili con gli altri impegni scolastici e non, e si aspetta con trepidazione la maggiore età per prendere la patente e potersi finalmente spostare verso luoghi più affollati, con più possibilità di svago, ma anche di lavoro.

Certamente anche il lavoro era centrale nella vita di un ragazzo di una volta: c’era chi si svegliava all’alba per andare al pascolo prima di scuola, chi aiutava la famiglia a preparare la terra per la semina, a raccogliere le castagne, a tagliare il fieno, a fare la legna, a curare le viti. I “teenager” di un tempo conoscevano il lavoro fin da piccolissimi, perché veniva concepito come una collaborazione di tutta la famiglia, finalizzata alla sopravvivenza stessa. Certo, oggi tutto questo è cambiato: il nostro modello economico ha subito una lenta e costante trasformazione e il lavoro fisico richiesto dalle giovani braccia non è più lo stesso; per citare qualcuno degli intervistati: “non ci si sporca più le mani”. Eppure c’è ancora qualche ragazzo garessino che aiuta il nonno o il papà con la legna. E alcune tradizioni c’è chi ci tiene ancora a mantenerle: ricordiamo i giovani fratelli Bozzolo, che vivono a Viola, e il loro lavoro di valorizzazione dei castagni (il cui prodotto rimane un’eccellenza delle nostre valli). Ma a parte questi casi isolati, quello che oggi viene richiesto maggiormente a un adolescente è una lunga e teorica formazione scolastica, che fa sì che l’ingresso nel mondo del lavoro venga spostato di interi decenni rispetto alla generazione dei nonni. Ai loro tempi, dopo le elementari, non era scontato proseguire alle medie o con la vecchia scuola di avviamento (e anche quest’ultima era finalizzata a imparare un mestiere fin da subito). La GenZ affronta sfide del tutto nuove: oltre alla scuola dell’obbligo, l’attuale mondo del lavoro necessita di una specializzazione sempre maggiore, che richiede anni e anni di sacrifici (anche economici) per essere completata e, conseguentemente, un allontanamento dalla praticità del lavoro manuale. E per farlo, un giovane garessino nel 2024 deve necessariamente partire, scappare dal nostro bel paese per formarsi, trovare nuove possibilità di impiego inesistenti sul territorio e, troppo spesso, non fare più ritorno. Se solo ci fossero più opportunità, se solo tutto fosse come un tempo… chissà quanti resterebbero!
A voler fare l’avvocato del diavolo, occorre però citare una controtendenza sempre più diffusa, ovvero quella del ripopolamento dei borghi più isolati che, fortunatamente, riguarda anche Garessio (la nostra redazione ha avuto la fortuna di averne una testimonianza locale nel nostro articolo “Le Foyer dans le Bois: nel borgo di Mindino un progetto oltre iI co-housing” che trovate in questa rubrica). Perciò, chi lo sa, forse non è tutto perduto!

L’importanza di ottenere un lavoro si riflette anche sul calo demografico, un fattore nazionale più che locale, la cui tendenza è difficilmente reversibile. Gli intervistati testimoniano che un giovane negli anni 50 sognava una famiglia fin dalla prima adolescenza e poi, inutile negarlo, i figli “arrivavano” anche senza cercarli. Oggi invece le famiglie hanno in media poco più di un figlio a testa, e le nostre scuole locali fanno fatica a restare aperte (con una conseguente diminuzione di posti di lavoro anche per il personale scolastico). Certo, non mancano le eccezioni: una delle nostre giovani intervistate ha tre sorelle, un’altra vive in una famiglia dove i figli sono tre… ma dobbiamo rimanere obiettivi: si tratta situazioni non affatto comuni, purtroppo.
Gli sviluppi positivi però esistono, e sono evidenti: come ci ricorda un’intervistata, un tempo non era certo la scelta di una donna quella di “sfornare squadre di calcio di pargoli” che, in alcuni casi, si faticava anche a sfamare. L’aborto non era concepito e la mentalità era: “Se Dio me l’ha mandato, me lo tengo”. “E poi diciamocelo”- aggiunge- “Quando non si guardava la televisione, ci si guardava l’un l’altra: bisognava pure intrattenersi in qualche modo!”.

L’ultimo punto di incontro tra passato e presente è la musica. Molti anziani ricordano le strade di Garessio piene di canti, di balli, di occasioni di festa. Si trattava di momenti in cui bisognava chiacchierare per forza, vivere insieme, anni in cui paradossalmente, anche se le persone erano di più, ci si conosceva tutti e le interazioni non risentivano del filtro di uno schermo. Qualcuno ricorda l’hotel Taricco, la sua sala da ballo e le intramontabili Fonti San Bernardo, tappa fissa delle estati garessine. Gli anziani parlano di quei tempi come un qualcosa di lontano, ma in fondo i giovani d’oggi continuano a volere molte delle loro stesse cose: ballare alle Fonti è ancora un “must” per i ragazzi della valle e la musica, forse ancora più di un tempo, è diventata un elemento comune a tutti gli adolescenti, in molti casi, anche una passione o un popolare momento aggregativo (basti pensare alla nascita e alla diffusione di nuovi generi musicali propriamente giovanili come il rap e la trap, oppure anche a esempi locali di valorizzazione musicale come la scuola di musica con sede nella riqualificata Villa Gobbi o eventi sociali come “Cheers” il festival di musica e birra di Garessio).

Il nostro incontro si conclude con una domanda, forse scomoda: voi anziani, cosa invidiate ai giovani d’oggi? E voi adolescenti, cosa agli anziani?
Le risposte dei “giovani di una volta” ci hanno fatto riflettere su come il mondo di oggi sia troppo frenetico, sugli agi che loro sognavano, che non valgono nulla se il tempo libero non lo si intende come tempo di qualità. È vero, si lavorava molto, c’erano pochi svaghi… ma l’aria era buona, la gente era tanta e le persone sembravano più felici, anche con poco. Gli anziani esortano le nuove generazioni, sì a studiare, ma a farlo per scoprire qualcosa, per mettere a disposizione il proprio talento, a fare tesoro di quello che le generazioni passate hanno lasciato, di tutto il loro lavoro, e a ritornare al vecchio per “migliorarlo”, per portare avanti le tradizioni, anche svecchiandole, se necessario.
E i nostri ragazzi? Beh, loro sognano un futuro che assomiglia al passato dei loro nonni più di quanto crediamo: una Garessio piena di gente, di canti, di lavoro e di opportunità, dove l’inquinamento non esista e dove le persone tornino a stare insieme per davvero.

Perciò sono poi così diversi questi “giovani d’oggi”? Forse per le cose che contano… potremmo dire di no.

Articolo scritto da Lia Colombo

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